Quando i giocatori di tutto il mondo nel 1986 videro Defender of the Crown per la prima volta non poterono credere ai loro occhi: vedere sullo schermo quelle immagini così nitide e accese, per l’epoca, era impossibile.
Ma non era soltanto la bellezza della grafica a sorprendere, ma lo stesso gameplay a rendere il gioco eccezionale.
Defender of the Crown è il primo titolo prodotto dalla Cinemaware, un’etichetta sconosciuta fino a quel momento, ma che si era data come obiettivo la creazione di giochi che sorprendessero per l’alta qualità delle immagini e il modo di giocare alternativo: una continua ricerca della sintesi tra azione e strategia senza rinunciare all’impatto visivo. All’epoca il panorama dell’home computer non offriva grosse scelte: i giochi erano azione, spesso sacrificata sull’altare dei pixel. Le avventure grafiche si stavano affacciando all’orizzonte ad opera della Sierrra, anch’essa peraltro affascinata dalle ambientazioni medievali, e in linea di massima cio’ che non era azione era testuale, fattore che costringeva titoli di questo tipo in una nicchia di appassionati. Defender of the Crown ebbe il merito di riuscire ad affascinare anche coloro che trovavano i giochi statici noiosi e complicati.
Molte scene del gioco, così come per altri titoli della Cinemaware, trassero ispirazione da vecchi film hollywoodiani, in particolare Ivanhoe di Richard Thorpe (1952) e La leggenda di Robin Hood di Michael Curtiz (1934), Kellyn Beck partì dall’idea di creare un gioco strategico a turni con alcuni elementi action confezionati in una grafica innovativa. Se da una parte è vero che poteva contare su un alleato fortissimo all’epoca, e cioè l’Amiga 500, è altresì vero che Defender of the Crown ne sfruttò a pieno le capacità.
Il gioco ci riporta indietro nel 1149, tardo medioevo inglese: il re è morto, la corona rubata e il regno è preda di torbidi.
La vecchia nobiltà sassone mal digerisce quella nuova, rappresentata dai normanni usurpatori.
Nel gioco possiamo scegliere di vestire i panni di 4 cavalieri sassoni caduti più o meno in disgrazia: Wilfred di Ivanhoe, Cedric di Rotherwood, Geoffrey Longsword e Wolfric the Wild. Ogni personaggio ha le stesse caratteristiche: leadership, jousting e swordplay. La leadership influenza le battaglie, jousting i tornei e swordplay i raid all’interno dei castelli.
I 4 personaggi hanno tutti punti deboli e forti: Ivanhoe, ad esempio, ha una forte leadership, un ottima abilità nei tornei ma è appena sufficiente in duello.
Nel gioco, che per semplicità viene considerato strategico a turni, dobbiamo occupare con la nostra armata i vari territori dell’Inghilterra. Se sul territorio non è presente alcuna armata ne prendiamo possesso automaticamente. Altrimenti si combatte e normalmente, vincono i numeri. Per conquistare i castelli occorre almeno una catapulta con la quale dobbiamo aprire una breccia nelle mura: più danni facciamo, più semplice sarà conquistarlo. E’ bene avere un numero alto di soldati e cavalieri per sconfiggere l’esercito avversario: ma se lo espugniamo, insieme al territorio su cui è posto il castello, riceviamo automaticamente i restanti che appartenevano all’avversario.
Per conquistare territori, tranne quelli con i castelli, possiamo anche promuovere – oppure costretti periodicamente – il torneo di Ashby de la Zouche, per vincere il quale dovremo disarcionare da cavallo tre avversari.
E’ certamente la parte più difficile del gioco ma se si è abili in questa specialità, la vittoria finale è molto più semplice perché si vincono parecchi soldi o territori.
Se siamo a corto di spicci, possiamo fare un raid in un castello avversario, affrontando con altri due compari altrettante guardie.
Questa è forse la parte meno riuscita del gioco, visto che per vincere dobbiamo cliccare furiosamente col pulsante destro quando veniamo in contatto con l’avversario.
Di tanto in tanto, una damigella rapita può chiedere il nostro aiuto: se la liberiamo, dopo aver assaltato il castello dove è tenuta prigioniera, ne avremo in dote la mano. E anche qualcos’altro, come testimonia la scenetta animata che segue.
Se restiamo a corto di unità, un paio di volte possiamo chiedere aiuto a Robin Hood, che ci regalerà un po’ di soldati.
Il gioco termina se conquistiamo tutti i castelli degli avversari oppure se viene conquistato il nostro.
Defender of the Crown sarebbe stato ancora più avvincente se la Cinemaware non avesse necessariamente dovuto mettere il gioco in commercio per non fallire: sebbene alcune features – come il fuoco greco e le palle tossiche – fossero pronte, non furono inserite nella prima versione, quella per Amiga: vennero implementate nei porting successivi, in particolare nella versione per Atari ST.
Ci sono degli errori evidenti, a partire dalla data, che anticipa di 50 anni i fatti, fino alle ombre.
Il gioco ha avuto in tutto 14 versioni e ancora oggi viene ricordato come uno dei migliori titoli mai comparsi in circolazione: merito dello straordinario team che lo realizzò: dal concept designer Kellyn Beck, che riproporrà nel 1990 con Centurion, al grande Jim Sachs autore della grafica, fino a Jim Cuomo, il realizzatore della indimenticabile colonna sonora.