![Zeder, Pupi Avati 1983 Zeder, Pupi Avati 1983](https://www.80s.it/pic/cinema_zeder_pupi_avati_1983_the_80s_database.jpg)
Zeder è un film del 1983 diretto da Pupi Avati e interpretato da Gabriele Lavia e Anne Canovas. Scritto assieme al fratello Antonio e Maurizio Costanzo, può essere definito un thriller dell’orrore svolto secondo canoni provinciali, marchio di fabbrica del regista bolognese, capace come pochi di dare chiavi di lettura alternative ai suoi lavori: in Zeder si ribalta tutto, la storia, i luoghi, lo stesso protagonista, un classico buono e mite alla ricerca della verità che diventa egoista e finisce per usare gli stessi mezzi dei cattivi.
Stefano è un giovane scrittore in cerca di editore e di ispirazione: la trova quando la moglie Alessandra gli regala per l’anniversario di matrimonio una macchina da scrivere elettrica, comprata al Banco dei Pegni, sul cui nastro trova le tracce di una storia misteriosa. Incuriosito, e ingolosito dalla possibilità di poterci ricamare sopra un romanzo di successo, cerca di ricostruirla e di rintracciare colui che aveva lasciato quegli inquietanti riferimenti ai terreni K. Terreni speciali, magici, forse diabolici, in cui chi ci viene seppellito vive una dimensione fuori dal tempo ed è in grado di tornare. Stefano scoprirà che una teoria del genere era nota da tempo agli studiosi perché formulata da tale Paolo Zeder, apolide vissuto agli inizi del ‘900, e che l’ultimo ad usare la macchina da scrivere è stato un sacerdote ritenuto pazzo, per questo spretato e sepolto da qualche parte ma non nella bara di cui è titolare al cimitero. La ricerca della verità, divenuta ossessione per il protagonista, lo condurrà fino alla Colonia marina di Spina dove farà i conti con i morti e con i vivi.
L’idea di Zeder venne a Pupi Avati nella stessa maniera in cui il protagonista del film scopre le tracce dei terreni K.
A casa di Amedeo Tommasi, l’autore delle colonne sonore dei primi film del regista bolognese, Avati vide una macchina da scrivere elettrica che il musicista aveva avuto in cambio di un lavoro. Se ne innamoro’ e chiese di poterla comprare. Una volta a casa, spinto dalla curiosità, provò a decifrare le ultime parole impresse sul nastro. Non scoprì granché: la macchina era appartenuta ad un dentista e sul nastro non c’era che un resoconto di spesa. Tuttavia, il fatto lo ispirò così tanto da parlarne al fratello Antonio e coinvolgere, come aveva fatto in precedenza per La Casa dalle finestre che ridono, Maurizio Costanzo. Avati trasse ispirazione anche dal personaggio di Fulcanelli, un alchimista vissuto nel XX secolo di cui non si conosce tuttora il nome reale e autore de Il mistero delle Cattedrali: in un’intervista il regista rivelò di avere in mente proprio questa figura misteriosa sulle cui opere c’era e c’è tuttavia molto rispetto tant’è che gli americani, entrati a Parigi dopo la liberazione, avrebbero cercato proprio questo alchimista prima di ogni altro. Fu Avati stesso a rivelare quest’aneddoto, ricordando la genesi del personaggio del film e l’idea di partenza da cui, anni dopo, sarebbe scaturito Zeder.
Un film che combina la suspance del thriller con i brividi dell’horror e ambientanzioni “sui generis”, senza scadimenti nello splatter: e non era facile viste le pellicole horror in voga al tempo, dove il sacro si mischia col profano e i preti da ministri di Dio si trasformano in “professionisti del soprannaturale”. Come per La Casa dalle finestre che ridono, Avati trasforma in incubo la ridente e tranquilla provincia emiliano-romagnola, muovendo da Bologna, passando per Rimini e arrivando a Cervia, per la precisione a Milano Marittima, dove si trova in realtà quella che nel film viene indicata come Colonia Marina di Spina: si tratta della Colonia Varese, conosciuta anche come Colonia Costanzo Ciano, un’enorme struttura costruita nel 1937, entrata in funzione per pochi anni e oggi abbandonata dopo un tentativo, negli anni ’60, di riconvertirla. A scovarla il location manager Leonardo Scarpa. E’ indubbia l’importanza di questa costruzione, con la sua imponente struttura a gabbia, nel dare alla storia quel tocco spettrale necessario per accompagnare lo scioglimento del mistero sui terreni K. La Colonia era già comparsa in un altro film del 1970, La Ragazza di latta diretto da Marcello Aliprandi.
Le prime immagini del film sono ambientate a Chartres: in realtà solo gli esterni dove si vede la Cattedrale sono stati girati realomente là.
La sceneggiatura, già complicata per via della trama, sembra in alcuni momenti incerta, con alcuni personaggi che compaiono, partecipano e spariscono in modo tutt’altro che chiaro: ma è anche vero che, come nel precedente La casa dalle finestre che ridono, ad Avati piace disseminare indizi ed elementi per confondere: lo stesso finale del film, in fondo, lascia svariati dubbi allo spettatore. Come è vero che lo stesso Avati ammetterà successivamente in un’intervista di aver provato poca emozione nel girare Zeder: certamente non la stessa che provò per La casa dalle finestre che ridono, girato con più curiosità quando, insomma, ne sapeva meno. Avati non solo non era estraneo alla materia, ma ne conosceva i classici: e a confermarlo basterebbe la scena della piscina, chiara citazione da Il Bacio della Pantera. Tra le cose che non lo convinsero ci fu il fatto che il film era “ambientato in un presente che forse non lo giustifica. Ci sarebbe stato bisogno – disse Avati – di altre attrezzature, anche perché è un film che tocca in qualche modo determinate tecnologie che non erano a disposizione”. Mentre ne La casa dalle finestre che ridono il clima ed il paesaggio erano sufficienti ad evocare fantasmi e misteri, in Zeder no. In Zeder si ha a che fare anche con dei computer e con una tecnologia avanzata, e queste cose non potevano essere affrontate in maniera artigianale.
Eppure Zeder non costo’ poco: Avati ebbe a disposizione 500 milioni, non certo una miseria. Ma il film non ebbe una lavorazione facile, o comunque indimenticabile per il feeling sul set: col direttore della fotografia Franco Delli Colli ci furono parecchi screzi e lo stesso Lavia non convinse appieno il regista, che comunque aveva voluto fortemente dopo averlo visto in teatro e in Profondo Rosso di Dario Argento. Una certa freddezza nella caratterizzazione del protagonista, spesso imputata al poliedrico attore milanese, è in effetti riscontrabile nel film e dovuta probabilmente allo scarso feeling col regista bolognese.
La colonna sonora di Riz Ortolani, molto suggestiva, accompagna e asseconda molto bene le immagini.
Zeder venne girato in lingua inglese per essere venduto anche all’estero, dove fu distribuito con il titolo Revenge of the Dead e accompagnato da un poster che proponeva un’idea gore e splatter del film, elementi appena accennati dal regista bolognese, ma al tempo in voga negli Stati Uniti e anche in Italia, dove erano o sarebbero usciti poco dopo, film come “Paura nella città dei morti viventi” di Fulci, “La Casa” di Sam Raimi, fino a “Cannibal Ferox” di Lenzi, tutti immersi in un mare di sangue dopo il successo degli Zombie di Romero. Peraltro, sulla locandina americana, viene indicato come protagonista John Stacy che nel film ha una parte modesta. Completano il cast Anne Canovas, la Colomba dell’omonima serie tv di un anno prima, il compianto Cesare Barbetti, Alessandro Partexano e l’immancabile Bob Tonelli, attore feticcio di Avati.
Zeder presenta delle chiare attinenze con il romanzo Pet Sematary di Stephen King: il libro uscì un anno dopo l’uscita del film ma Avati non presentò, né penso mai di farlo, alcuna denuncia per plagio perché, come ebbe a dire, “le idee sono nell’aria”.
Tra i misteri non svelati c’è quello dei due ragazzini affacciati alla finestra nella scena dove l’ispettore ordina di bloccare la strada e di non volere scocciatori. Tra quelli svelati, i due relativi alle differenze tra le versioni cinematografica e televisiva. In quest’ultima c’è una scena in più, quella con Lavia e la Canovas che si lasciano andare sul divano di casa mentre un tale sistema il cavo della macchina da scrivere. Avati non poté eliminarla, come aveva fatto per la versione cinematografica, perché il master per la RAI, coproduttrice del film, era stato confezionato prima dell’uscita nelle sale. Il secondo è relativo alla scena successiva all’incontro tra Stefano e Don Mario, notturna in quella televisiva, diurna in quella cinematografica.
Fonti:
Ruggero Adamovit, Claudio Bartolini, Luca Servini: Nero Avati – Visioni dal Set
Wikipedia: Zeder